Ormesi: quello che non ti uccide, ti rende più forte
La parafrasi, nel titolo, dell’affermazione di Nietzsche sintetizza in maniera semplificata il concetto di ormesi.
Ormési, dal greco ormao (stimolare), è una reazione dose/risposta caratterizzata da un effetto bifasico: a basse dosi l’azione esercitata è stimolante, ad alte dosi è inibente.
L’ormesi può essere considerata, quindi, una funzione adattativa caratterizzata da una risposta bifasica dose-dipendente, che si manifesta come conseguenza dell’esposizione ad un range molto ampio di stimoli (Calabrese e Baldwin, 2002).
Gli effetti benefici osservati a basse dosi includono un aumentato fattore di crescita, una maggior fertilità e una migliore resistenza allo stress.
Un esempio di questo concetto si ritrova già in Ippocrate che osserva come, in piccolissima dose, l’Elleborous niger (rosa di Natale), pianta capace di determinare una diarrea simile al colera, può curare proprio il colera.
Anche Paracelso afferma, già nel ‘500, che “Tutte le sostanze sono tossiche, solo la dose fa la differenza tra un veleno e un medicamento”.
Qualche cenno storico
I primi studi su questo argomento risalgono al 1887 ad opera del dott. H. Schulz. Egli fece alcuni esperimenti facendo reagire certe sostanze chimiche con il lievito. Poté in questo modo osservare uno strano fenomeno secondo il quale, dapprima l’azione esercitata era di crescita e benessere, poi, all’aumentare della concentrazione, l’evento diveniva palesemente tossico. Successivamente, in collaborazione con lo psichiatra R. Arndt, formulò la legge detta appunto di Arndt e Schulz che afferma: “Stimoli di debole intensità accelerano modestamente l’attività vitale, di media intensità la incrementano, di forte intensità la bloccano in parte, di elevatissima intensità la sopprimono completamente”.
In tempi recenti i maggiori studi sull’ormesi sono stati condotti da Edward J. Calabrese e Mark P. Mattson, riassunti nel libro “Hormesis. A Revolution in Biology, Toxicology and Medicine”.
Due tipologie di ormesi
La risposta ormetica può essere sia indotta direttamente (DSH Direct Stimulation Hormesis), che essere il risultato di processi biologici di compensazione, conseguenti ad un iniziale disordine nell’omeostasi (OCSH Over Compensation Stimulation Hormesis).
L’ormesi da stimolazione diretta (DSH) è una normale risposta adattativa che si verifica mediante meccanismi diretti volti al mantenimento delle funzioni, non conseguenti ad un’alterazione dell’omeostasi.
L’ormesi da sovracompensazione (OCSH) è una risposta adattativa a bassi livelli di stress che producono un aumento di risposta di alcuni sistemi fisiologici per un tempo definito, oppure, in specifiche circostanze ben delineate, indefinitivamente. Tutto ciò è il risultato di una modesta sovracompensazione dovuta ad una variazione dell’omeostasi.
In questo tipo di ormesi si assiste ad un’alterazione dell’omeostasi alla quale l’organismo risponde con una reazione volta alla riparazione del danno. Tale risposta, però, è leggermente sovracompensata, cioè leggermente superiore a quella strettamente necessaria per l’immediata riparazione del danno. Tale modesto eccesso pare prepari l’organismo a rispondere a danni derivanti da successive esposizioni al fattore stressogeno di maggiori entità, per periodi di tempo limitati.
Alcuni esempi
In ambito chimico e radioattivo, ad esempio, è comprovato che una bassa dose somministrata prima di un dosaggio più elevato e pericoloso dello stesso agente, spesso riduce l’effetto tossico della successiva maggiore esposizione.
Un esempio in questo senso di risposta ormetica si riscontra nel caso delle radiazioni ionizzanti per le quali è stato dimostrato che una bassa dose incrementa la radioresistenza di cellule e tessuti a dosi più elevate.
Anche antibiotici quali l’eritromicina e la streptomicina promuovono a basse dosi la crescita batterica; la diossina può rallentare lo sviluppo tumorale nei ratti a basse concentrazione, mentre ad alte concentrazioni lo scatena; la stessa diossina, che agisce da diserbante in alte quantità, in basse quantità promuove la crescita dell’erba; la somministrazione a basse dosi del peptide β-amiloide – che si ritiene essere responsabile del morbo di Alzheimer – pare avere un effetto protettivo contro la malattia (Butler, 2004). Altri studi confermano sperimentalmente il fenomeno ormetico in riferimento ai più svariati agenti chimici, quali mercurio, rame, metanolo, raggi γ, cadmio, arsenico e così via. Anche nei confronti degli insetticidi, secondo quanto rilevato da Calabrese (Calabrese et al, 1999), basse dosi degli stessi indurrebbero resistenza chimica incrementando la detossificazione xenobiotica.
In un campo più quotidiano, un esempio per tutti è dato dall’alcol. A basse dosi (che dipendono però molto dalle condizioni del singolo individuo) riduce il rischio di malattie cardio-vascolari, mentre alte dosi aumenta tale rischio e lo fa in modo esponenziale.
L’ormesi pare fondamentale per la sopravvivenza di tutte le specie; funghi, batteri, insetti, piante, alghe, animali e uomini: tutti mostrano risposte adattative agli agenti stressogeni.
Alcuni esempi sono particolarmente interessanti per la vita quotidiana: l’esercizio fisico, la restrizione calorica, le sostanze fitochimiche derivanti dalle piante
Ormesi e attività fisica
Riguardo all’esercizio fisico, se si misurano i markers infiammatori di una persona che ha appena terminato di fare un intenso allenamento fisico, si osserverà che sono elevati e che lo stress ossidativo è evidente. Anche il cortisolo (l’ormone dello stress) sarà molto probabilmente elevato. I muscoli soffriranno di microtraumi, soggettivamente la persona in questione sarà esausta, verosimilmente incapace di fare altro se non riposarsi, dormire, mangiare e bere. Un volta soddisfatti questi bisogni, però, il nostro sportivo risulterà più forte, più resistente contro futuri stress nei giorni successivi. I markers infiammatori in questo caso rappresentavano un segnale inviato ai muscoli per autoripararsi e diventare più forti di prima. Osservando il singolo allenamento, perciò, esso appare come stressante dal punto di vista ossidativo, mentre un regolare esercizio fisico abbassa lo stress ossidativo stesso. In altre parole, l’agente stressogeno rimane, ma cambia l’abilità dell’organismo di rispondere ad esso.
Lo stress fisiologico derivante dall’esercizio fisico, quindi, ha un punto ottimale (dove si sperimentano sviluppo nella forza muscolare e miglioramento nella salute cardiovascolare) al di là del quale si sperimentano effetti negativi (logoramento delle cartilagini nelle articolazioni che può portare all’artrite, ad esempio). Un moderato esercizio fisico influenza positivamente, inoltre, anche il sistema nervoso e il sistema digerente.
Ormesi e attività intellettuale
Anche un regolare impegno in attività intellettuali è benefico per il cervello in quanto attiverebbe per via ormetica alcuni percorsi neuronali. In maniera non dissimile a quella che avviene per le cellule del tessuto muscolare durante l’attività fisica, i neuroni coinvolti in attività stimolanti dal punto di vista intellettivo sono soggetti a produzione di radicali liberi e a un moderato stress energetico (di tipo aerobico). Come risultato si assiste ad un’attivazione di fattori di trascrizione (proteine, che si legano con specifiche sequenze di DNA regolando la trascrizione dei geni, ossia il processo attraverso il quale l’informazione genetica contenuta nel DNA viene trascritta in una molecola di RNA messaggero grazie all’enzima RNA-polimerasi). Da tutto ciò si può concludere che l’esposizione delle cellule del sistema nervoso a leggeri e temporanei periodi di stress può incrementare la loro resistenza nei confronti dell’invecchiamento.
Ormesi e restrizione calorica
In merito alla restrizione calorica, invece, pur essendo vissuta dal nostro corpo come un evento stressante, pare offra diversi benefici per la salute, soprattutto in tema di longevità. La mancanza di cibo, infatti, indurrebbe un processo attraverso il quale le cellule si “autopuliscono” e riciclano tutte quelle sostanze non necessarie e disfunzionali che hanno man mano accumulato, in una sorta di autofagia sia neuronale che sistemica.
Ormesi e sostanze fitochimiche
Per quanto riguarda invece le sostanze fitochimiche, diverse evidenze dimostrano che i polifenoli (flavonoidi, fenoli, tannini) e i pigmenti colorati delle piante (carotenoidi e altre sostanze) eserciterebbero la loro benefica azione sulla salute per via ormetica. Tali sostanze rappresentano per le piante delle tossine vegetali, una sorta di pesticidi naturali, volti e a tenere lontani insetti e microrganismi nocivi. Quando ingerite dall’uomo, queste sostanze non uccidono, ma irritano il nostro organismo in modo da indurre una risposta adattivo-compensativa a livello cellulare che sfocia nei benefici che conosciamo e che siamo solito attribuire alla frutta e alla verdura.
Frutta e verdura, infatti, conterrebbero un’ampia gamma di composti elettrofili in grado di stimolare la fase 2 del metabolismo xenobiotico e la resistenza allo stress ossidativo. Tali sostanze includono, ad esempio, il sulforafano (contenuto nei broccoli) e il resveratrolo (abbondantemente presente nella buccia dell’uva).
Queste sostanze devono però essere assunte in quantità limitate per essere benefiche, quelle cioè che normalmente si consumano quando sono ingerite grazie all’alimentazione. Se riuscissimo a mangiare in una volta sola un camion di mirtilli, saremmo probabilmente uccisi dalle antocianine in essi contenute, mentre, alle normali dosi alimentari, questo non accade e, al contrario, risulta benefico per la salute. Nelle quantità normalmente consumate nella dieta, infatti, questi “pericolose” sostanze fitochimiche sono in grado di attivare un percorso cellulare di risposta allo stress senza reazioni avverse.
Ormesi e longevità
Un altro campo nel quale il concetto di ormesi viene oggi spesso impiegato è quello della biologia dell’invecchiamento.
Il processo biologico di invecchiamento, sia pur non ancora pienamente compreso, è però chiaramente associato ad un tasso crescente nel tempo di danno molecolare che contribuisce ad aumentare patologie e mortalità a livello di tutti gli organismi.
Le ricerche di laboratorio condotte negli ultimi anni in questo campo sono state rivolte ad individuare trattamenti in grado di incrementare la durata media della vita in organismi modello di laboratorio. Tali ricerche hanno dimostrato che una maggior longevità risulta associata ad una maggior resistenza ad una serie di agenti stressori. Ergo, se l’induzione della resistenza allo stress incrementa la durata della vita e l’ormesi induce resistenza allo stress, si può affermare che l’ormesi può dar luogo ad un maggior durata della vita.
In conclusione, la strada migliore per la salute consisterebbe non nell’eliminazione dei fattori stressori a livello ambientale, ma nella loro riduzione a livelli ottimali. Ovviamente questo dipende dal fattore coinvolto. In alcuni casi, come ad esempio il fumo, i benefici sono superati dai rischi. Il fumo di sigarette, infatti, sarebbe altamente protettivo verso il Parkinson (Quik, 2004) probabilmente a causa dell’effetto neurotrofico della nicotina o perché la nicotina stimola enzimi che detossificano i composti che promuovono tale malattia. Ma il rischio di provocare un tumore ai polmoni è così alto da sconsigliare in ogni caso l’impiego di questo sistema come prevenzione della malattia.
Anche essere stati soggetti a mini-ischemie di breve durata pare tuteli contro attacchi cardiaci di maggior entità o infarti (Yellon and Downey, 2003; Pong 2004). L’ischemia, infatti, manifesta una risposta bifasica: brevi periodi di ischemia risultano protettivi, mentre prolungati periodi conducono a danni cellulari.
Conclusioni
In sintesi, gli studi effettuati sull’ormesi da risposta allo stress, così come l’induzione da parte di agenti stressori di processi biochimici che proteggono contro lo stress, stanno fornendo nuovi spunti e nuove intuizioni sui meccanismi protettivi nei confronti di un ampio novero di processi patologici, invecchiamento incluso.
Per molte sostanze, inoltre, secondo quanto studiato da Calabrese, la risposta arriva al suo massimo a bassi dosaggi. Tali osservazioni porterebbero ad una rifondazione delle basi della farmacologia e della tossicologia, riconoscimento per il quale si batte strenuamente da tempo lo stesso Calabrese.
L’ormesi per questo è da considerare come un concetto fondamentale nella teoria evolutiva. Sin dall’inizio dei tempi, infatti, la vita sulla terra si è dovuta confrontare con ambienti difficili, dove le cellule erano esposte spesso a radicali liberi e a sostanze tossiche di ogni genere. Per evitare l’estinzione, perciò, gli organismo viventi hanno sviluppato complessi meccanismi per farvi fronte, uno dei quali è appunto l’ormesi.
Ringrazio don Sergio Chiesa che mi ha fatto conoscere il concetto di Ormesi grazie alla sua brillante relazione, esposta durante l’ultimo corso di approfondimento organizzato dall’associazione kousminiana Cibo è Salute