E il giardino creò l’uomo. Un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri
Il giardino: ultimo rifugio della spiritualità e della poesia; ultima frontiera al di qua della barbarie e dall’alienazione; ultima utopia – ma un’utopia pratica, tangibile. Così scrive de Prècy.
Nel fare il giardino, l’uomo – sostiene de Prècy – deve restare in ascolto del genius loci, della natura del luogo, senza forzare, ma assecondando le forze che vi operano, mettendosi al loro servizio e riallacciando così il legame con il mondo naturale.
De Précy era un giardiniere-filosofo, islandese di nascita, inglese d’adozione: più che pensare da filosofo, viveva da filosofo. Come i grandi filosofi dell’antichità, scrive il curatore del volume Marco Martella, cercava prima di tutto di incarnare una visione del mondo, una filosofia dell’uomo, un ideale di vita. E il suo giardino, Greystone, è l’incarnazione di questa visione, nonché l’erede dei grandi giardini filosofici del passato, come quello di Epicuro o Erasmo da Rotterdam.
Sembra scritto ieri questo libro, tanto è attuale, invece che all’inizio del ‘900 e in esso vi si ritrovano concetti oggi “di moda”, ma qui incarnati e inseriti in un quadro di pensiero assolutamente originale per l’epoca, che si nutre di incontri come quello con un giovanissimo Herman Hesse, che de Précy definisce “promettente scrittore tedesco” o con la filosofia orientale.
In materia di giardinaggio de Précy anticipa le pratiche naturali e “bio” oggi di moda, egli elabora un’idea di giardino selvatico molto prima che si sentisse o si avesse bisogno di parlare di “ecologia”.
Per concludere cito alcuni passi che, a parer mio, possono fornire ispirazioni e far venir voglia di leggere questo godibilissimo libro più di ogni mia parola: “Il giardinaggio è un esercizio spirituale, una maniera di guardare il mondo, di interrogare la natura da vicino. Non è tecnica, ma poesia”.
E poi: “Pur essendo guerrieri e ingegneri, i Romani sapevano che bisogna dar prova di umiltà di fronte al mondo, che non si entra mai in un posto da conquistatori, ma da invitati”.
E ancora: “Così il paesaggista deve entrare nel flusso creatore che opera nel luogo in cui egli tiene il suo giardino. Quanto più si adegua a questo flusso, tanto più il suo progetto trova compimento. E il suo giardino, vita.”
Che ve ne pare? D’altronde, non ci si poteva aspettare nulla di diverso da chi – come de Précy – trovava già a quell’epoca affascinante e pieno d’incanto il sacro bosco di Bomarzo, la meravigliosa e misteriosa opera del principe Pier Francesco Orsini che noi italiani abbiamo la fortuna di ospitare in provincia di Viterbo.
E a proposito della grande attualità di questo testo, proprio in conclusione, una nota dell’editore insinua perfidamente un dubbio… quale? Leggete il libro e lo saprete!
Jorn de Précy
E il giardino creò l’uomo. Un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri
Ponte alle Grazie