Faccende domestiche: una forma di meditazione?
Oggi vorrei raccontare un aneddoto che spero possa essere di aiuto anche ad altri. Si tratta di un’esperienza apparentemente piccola, nulla di trascendentale o da lasciare a bocca aperta, ma credo utile.
Premetto che non ho la vocazione della “donna di casa”: le faccende domestiche mi pesano, non mi piacciono e possiedo competenze appena sufficienti per rendere la casa abitabile. Fosse per me cucinerei e basta, delegando ad altri volentieri il disbrigo di ogni diversa incombenza. Per questo, quando si tratta di sistemare in casa, cerco di farlo velocemente per liberarmi di questo ingrato compito nel minor tempo possibile, quasi sempre pensando ad altro (in teoria di più “elevato”), in modo da potermi finalmente dedicare a quello che ritengo essere qualcosa di più consono a me e alle mie competenze. In questo modo, però, finisco per stravolgermi di stanchezza e per accumulare notevole frustrazione.
Per questo motivo, domenica scorsa dinanzi alla prospettiva di dover trascorrere almeno mezza giornata a rassettare, passare aspirapolveri, lavare piatti (la lavastoviglie – ahimè – in sciopero), stirare e dare acqua alle piante, il tutto con la mente, come al solito, in modalità programmazione pranzo e chissà cos’altro ancora, ho deciso di cambiare passo e di provare a mettere in pratica il suggerimento letto tempo fa, ma non esperito mai fino in fondo prima, sul libro del Maestro Thich Nhat Hanh “Il miracolo della presenza mentale”.
Cosa dice Thich Nhat Hanh? Una cosa molto semplice e cioè che anche lavare i piatti può essere una forma di meditazione, sempre che sia fatto con presenza mentale, consapevolezza, concentrandosi su ogni singolo gesto, stando nel famoso “qui-e-ora”, evitando che la mente vaghi a briglia sciolta e, soprattutto, sia fatto con amore, perché “ogni atto è un rito”.
Ho voluto così provare: per prima cosa ho verificato come stesse il mio corpo, rendendomi conto di aver il diaframma bloccato e, in pratica, di non respirare. Non parliamo poi della spalle, contratte come a portare un invisibile peso che non poteva certo essere quello del piatto che stavo sciacquando. Ho quindi provato a concentrarmi davvero sulle sensazioni, ad esempio quelle tattili (la scivolosità che il detersivo conferiva al piatto), olfattive (il profumo dell’olio essenziale che aggiungo al detersivo), uditive (l’acqua che scorreva) e così via e ho provato a godermi davvero il momento in sé. Ho rilassato le gambe, piegando leggermente le ginocchia come ci insegnano a fare a yoga, respirando sul serio. Ho cercato di tenere la mente a bada e di atteggiare la bocca ad un lieve sorriso, ovviamente sentendomi all’inizio anche vagamente ebete. E, soprattutto, ho rallentato! Per poter assaporare tutte queste sensazioni, infatti, senza nemmeno deciderlo consciamente mi sono trovata a rallentare, cosa che, per una ragione apparentemente inspiegabile (e qui la fisica quantistica sarebbe davvero di aiuto), non ha comunque comportato chissà quale orrendo ritardo nell’esecuzione del compito.
Risultato? Alla fine della jam session di lavaggio piatti non ero per nulla stanca, né frustrata, anzi, mi sentivo addirittura bendisposta ad affrontare la fase 2: quella dello stiro, che nella mia personale top ten delle faccende domestiche più odiate si situa ai primi posti alla classifica.
A questo punto è avvenuta un’altra piccola rivoluzione copernicana: ho chiesto aiuto! Ho diviso in due la montagna di panni da stirare e ho chiesto di stirarli metà per ciascuno, realizzando che in passato questa eventualità non mi era proprio mai venuta in mente, anzi, ero stata anche capace di rifiutare ogni – sia pur rara – offerta in questo senso. D’altronde Wonder Woman mica ha bisogno di aiuto… Vi risuona forse tutto questo?
Ecco, ora concludo: se fatto con amore, presenza e concentrazione qualsiasi lavoro, qualsiasi incombenza, anche la più umile o antipatica, diventa un’occasione imperdibile per conoscersi, meditare e sentirsi parte di un’energia complessiva che in quel momento sta “funzionando” in ogni parte dell’Universo.
Sta a noi cambiare la coloritura energetica di quello che facciamo, sta solo a noi decidere se stravolgerci, sentirci prigionieri di odiati compiti o, invece, avanzare con leggerezza durante la nostra giornata, affrontando con tutta la gioia possibile i nostri quotidiani doveri. Tutto ciò per far sì che anche un dovere divenga occasione di crescita personale, scelto e non imposto e, quindi, non più fonte di frustrazione. Provare per credere!
Infine, per chi volesse approfondire leggendo il libro citato ( e ne vale davvero la pena), ecco i riferimenti:
Thich Nhat Hanh
Il miracolo della presenza mentale. Un manuale di meditazione. Come trasformare ogni atto della vita quotidiana, dal lavare i piatti al bere una tazza di tè, in un’esperienza gioiosa, totale e illuminante.
Ubaldini Editore
Per far crescere ancor più la vostra curiosità, cito un breve paragrafo proprio relativo al lavare i piatti. Ecco cosa dice Thich Nhat Hanh a tale proposito: “Lavare i piatti con tutta calma, come se ogni scodella fosse un oggetto di contemplazione. Trattare ogni scodella come una cosa sacra. Seguite il respiro per prevenire la distrazione. Non cercate di sbrigarvela il prima possibile. Lavare i piatti deve essere la cosa più importante della vita. Lavare i piatti è meditazione. Se non sapete lavare i piatti con consapevolezza, non saprete neppure sedervi in silenzio a meditare.”