Legame tra Disturbo dell’Attenzione e alimentazione
Sono lieta oggi di presentare un articolo sul legame tra ADHD ed alimentazione tratto da un elaborato di molto maggior respiro steso da un collega ed amico, chef e oggi anche nutritional cooking consultant: Tommaso Zucca (PROFILO PERSONALE)
Il DDAI o Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività (ADHD è l’acronimo di Attentional Deficit Hyperactivity Disorder) è un disturbo evolutivo dell’autoregolazione del comportamento che si manifesta soprattutto con difficoltà di mantenimento dell’attenzione, controllo motorio e delle risposte impulsive. Tale disturbo rende difficoltoso, e in taluni casi impedisce, il normale sviluppo e l’integrazione sociale dei bambini.
Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività è un problema che interessa circa il 4% dei bambini in età scolare e che può presentare un elevato tasso di persistenza dall’infanzia sino all’età adulta.
Le manifestazioni predominanti in questo tipo di patologia, sono riconducibili all’elevato grado di disattenzione, iperattività ed impulsività del bambino, sintomi che spesso si palesano prima dei 7 anni di età e che colpiscono prevalentemente i soggetti di sesso maschile.
Tali caratteristiche emergono in maniera prorompente all’interno del contesto scolastico dove il bambino con ADHD si distingue proprio per la sua incapacità di controllo nelle reazioni emotive e comportamentali, nonché per la sua difficoltà nelle capacità di attenzione, organizzazione e pianificazione. E’ infatti il rendimento dell’allievo a costituire un primo segnale d’allarme rispetto a una problematica di questo tipo, spesso accompagnata da atteggiamenti e reazioni inappropriate che vengono immediatamente colte con preoccupazione dagli insegnanti, che incontrano grandi difficoltà nella gestione delle situazioni che tale patologia può innescare.
In primo luogo, l’approccio relazionale al bambino tende a modificarsi e deteriorarsi nel tempo; frequentemente tale disturbo viene confuso con una semplice condotta inadeguata e, di conseguenza, lo studente viene colpevolizzato per il proprio comportamento, con conseguenze gravi sul relativo sviluppo cognitivo e affettivo.
Le problematiche che emergono in ambito scolastico si ripercuotono, poi, sul contesto familiare, all’interno del quale l’atteggiamento oppositivo del bambino induce un senso di frustrazione nei genitori, innescando conflitti verso il figlio, il quale non viene riconosciuto come il portatore di un disturbo specifico, ma come colui che adotta un atteggiamento ribelle e non conforme alle regole dettate dall’ambiente in cui vive e che, come tale, deve essere educato in maniera più severa al fine di favorire in lui l’interiorizzazione delle norme sociali.
Molteplici sono le possibili cause individuate dalla letteratura scientifica: cause neurobiologiche (il bambino nasce con una predisposizione a sviluppare il disturbo a causa di aree cerebrali non funzionanti a dovere, poi l’educazione, l’ambiente familiare e/o scolastico possono far sfociare in modo più o meno evidente la sintomatologia); cause che dipendono da fattori genetici e/o complicanze perinatali (sono stati individuati alcuni geni responsabili del funzionamento di alcuni neurotrasmettitori quali dopamina, noradrenalina, GABA, ma quelli trovati finora spiegano solo il 5% delle cause); consumo di alcol e fumo da parte della madre che rappresenta un fattore di rischio; cause legate all’alimentazione.
ato che molteplici sono le variabili da considerare e che ogni bambino ed ogni individuo è unico, le risposte a questo problema possono e devono essere diverse. Quello che si propone di seguito è un approccio alimentare che integri correttamente eventuali interventi farmacologici e psicologici e che potrebbe rappresentare uno strumento più efficace per la cura dell’ADHD.
Ma andiamo per gradi. La prima cosa da fare è provare ad individuare quali siano le possibili cause dell’ADHD legate all’alimentazione.
A tal proposito, diversi studi hanno dimostrato che tra le cause eziopatogenetiche dell’AHDH si posso anche includere le sensibilità alimentari IgE mediate e le intolleranze. Tra questi studi si segnala quello della dottoressa Doris Rapp, medico pediatra e professore associato di clinica pediatrica presso la State University di NY a Buffalo, che ha affermato che i due terzi dei bambini diagnosticati ADHD ha allergie alimentari non riconosciute che sarebbero la causa nella maggior parte dei casi, se non in tutti, dei loro sintomi da ADHD.
La dottoressa afferma che una delle ragioni per le quali i bambini sembrano incapaci di apprendere o si comportano in maniera impropria può essere l’assunzione di alcuni alimenti o l’esposizione ad odori chimici o sostanze allergizzanti comuni. Nel suo libro “Is this your child” è riportato che, in alcuni bambini iperattivi si rileva la carenza di un enzima necessario per la detossificazione del corpo da parte di alcuni batteri intestinali. Gli alimenti che danno reazioni, inibiscono tale enzima che in questo modo non è in grado di funzionare in modo ottimale causando, come esito finale, l’iperattività.
Un altro studio olandese e belga condotto dal dott. Jan Buitelaar e colleghi, pubblicato sull’autorevole rivista “The Lancet”, ha rilevato che la maggior parte dei bambini appartenente al campione ha registrato, dopo la somministrazione di una dieta oligoantigenica, dei miglioramenti, mentre in alcuni dei casi studiati, i soggetti sono addirittura guariti dall’iperattività esclusivamente seguendo tale dieta.
La ricerca è stata condotta dividendo cento bambini affetti da ADHD in due gruppi, sottoponendo i primi cinquanta ad una dieta oligoantigenica e suggerendo ai secondo gruppo di cinquanta bambini semplicemente cibi sani. Questa fase è durata cinque settimane durante le quali genitori, insegnanti e un medico specialista in ADHD hanno osservato il comportamento dei bambini. Per Buitelaar, il fatto che il 64% dei bambini sottoposti a dieta mostrasse dei cambiamenti positivi è stato un successo, anche perché il risultato è paragonabile al trattamento farmacologico (Ritalin). Nella seconda parte dello studio, i ricercatori hanno voluto capire se determinati cibi potessero portare al rinnovarsi dei sintomi. Perciò, a coloro che avevano reagito bene alla dieta sono state aggiunte altre sostanze, quelle che in un test preventivo avevano alterato il livello di IgE nel sangue. Ebbene, l’abbandono della dieta originaria ha effettivamente provocato una “ricaduta” nella maggioranza dei soggetti.
Un’altra possibile causa alimentare dell’ADHD è legata all’aumentato consumo di zucchero da parte delle popolazioni in generale e dei bambini in particolare (bibite zuccherate, merendine…).
La dottoressa Mary Ann Block (esperta a livello internazionale nel trattamento dell’ADHD senza psicofarmaci) forte sostenitrice del ruolo centrale dello squilibrio glicemico come causa importante della sintomatologia ADHD, sottolinea che la crescita dell’ADHD è andata di pari passo con il forte aumento dell’obesità infantile, che sta davvero raggiungendo proporzioni epidemiche. Poiché è provato che l’obesità è legata allo squilibrio insulino-glicemico causato dall’abuso di zuccheri semplici e poiché l’abuso di zuccheri e l’alterazione ipo o iper glicemica provoca iperattività, è perlomeno plausibile ritenere che vi sia un nesso da esplorare.
Limitare, dunque, l’assunzione di zucchero può certamente contribuire a ridurre l’iperattività nei bambini. Bisogna però ricordare che, sebbene una dieta a basso tenore di carboidrati possa ridurre i sintomi di ADHD, non si dovrebbero mai eliminare completamente i carboidrati dalla propria alimentazione. Basta inserire carboidrati da fonti integrali, piuttosto che raffinate.
L’ipotesi che gli additivi alimentari possano provocare iperattività nei bambini è emersa già negli anni settanta dalle ricerche del dottor Benjamin Feingold ed è comunemente conosciuta come “l’ipotesi Feingold”. Secondo Feingold, molti bambini iperattivi (forse il 40-50%) sono sensibili ai coloranti e ai conservanti alimentari artificiali, come pure ai salicilati e ai composti fenolici presenti naturalmente nei cibi. Le affermazioni di Feingold sono basate su un’esperienza di oltre 1200 casi, in cui gli additivi alimentari sono stati collegati a problemi di apprendimento e di comportamento
Studi successivi, quale quello eseguito nel 1980 dal Dr. James M.Swanson e pubblicato sul prestigioso giornale “Science”, hanno dimostrato che, ad esempio, la tartrazina (colorante alimentare utilizzato in bevande gasate, caramelle e gomme da masticare, gelatine, budini, yogurt) aveva compromesso significativamente la performance dei bambini sui tests di apprendimento condotti su bambini iperattivi.
Accanto alla presenza di determinate sostanze, anche le carenze nutrizionali, ancor oggi molto diffuse a causa di un’alimentazione non equilibrata, si sono dimostrate rilevanti per le problematiche ADHD e in generale per lo sviluppo psicofisico dei bambini. La valutazione dei bambini con ADHD, infatti, spesso rivela carenze nutrizionali e squilibri che, quando corretti, determinano considerevoli miglioramenti comportamentali e scolastici.
Stante quanto detto sopra, è chiaro che un’alimentazione che eviti le sostanze prima ricordate, che eviti alimenti cui il bambino è eventualmente allergico o intollerante e che risolva carenze nutritive derivanti da un’alimentazione non corretta diventa uno strumento importantissimo nel trattamento dell’ADHPer questo motivo, nel prossimo articolo che verrà pubblicato tra qualche giorno, il nostro chef e nutritional cooking consultant Tommaso Zucca ci proporrà un esempio di menù utile a soddisfare queste richieste.